mercoledì 24 aprile 2013

Autobiografia spirituale di un bombarolo



Un pomeriggio di molti anni fa, mentre stavo confezionando una bomba, improvvisamente m’interruppi e chiesi a me stesso: “chi è il regista di tutto questo?”. Mi fermai, il mondo si fermò. Le risposte che da quel giorno ho cercato di darmi modificarono profondamente la mia vita.
Avevo 12 anni, e quel pomeriggio mi trovavo nella nostra casa di campagna. Allora non era stata ancora ristrutturata, e per me era un magnifico parco di divertimenti. Isolata dalla città, lontana da tracce di civiltà — ammesso che una pompa di benzina confinante si possa considerare un totem del progresso — immersa nel silenzio della Sicilia d’estate, controluce a un maestoso meriggiare di fine agosto.
Non mi domandavo in quel momento se la mia esigenza di giocare con gli esplosivi fosse una delle tre seguenti istanze: rivivere una delle mie vite precedenti; diventare esperto in una materia che avrebbe potuto condurre a una vita avventurosa, rischiosa e redditizia; esercitare il primo grado della ricerca spirituale, ovvero l’alchimia, cioè la trasmutazione degli elementi materiali prima d’imparare a trasmutare quelli spirituali.
La vicina di casa non sapeva quale delle tre fosse e probabilmente non se l’è mai chiesto. Sapeva soltanto che, a un certo punto di domenica, la quiete della campagna era squarciata da un boato assordante. Poi tornava il silenzio.
C’era una baracca in questa casa di campagna. Avevo allestito un laboratorio. La ragazza che lavorava nello studio di mia madre mi aveva comprato a Catania delle ampolle di vetro da chimico di professione. Con quelle riempivo infiniti pomeriggi cercando di trasformare una sostanza nell’altra e di produrre, tra un tentativo e l’altro, gli esplosivi più noti della letteratura. Alla fine dei compiti, a casa della nonna (insegnante privata e formatrice di fanciulli), mi perdevo nel corridoio buio e facevo le mie ricerche nei volumi pesanti e odorosi di sigaretta della preziosa enciclopedia Rizzoli Larousse. Non c’era ancora internet, e passare da una voce all’altra significava olio di gomito. Nel vero senso della parola.
La domenica sperimentavo le combinazioni e diventavo, mio malgrado, dotto in chimica. L’unica materia in cui abbia preso un 10 al liceo.
È d’obbligo qui bacchettare le industrie che mettono sul mercato acidi diluiti con l’acqua rendendo complessa l’opera di produrre gli esplosivi più divertenti, come la nitroglicerina e, susseguentemente, la dinamite (nitroglicerina più farina fossile o, in mancanza di essa, farina di riso o fecola di patata).
Per fortuna il progresso mi ha permesso di capire come mai non mi sia mai riuscito il fulmicotone. Su Youtube ho scoperto che avevo semplicemente dimenticato di sciacquare il cotone con il bicarbonato, dopo averlo immerso in una soluzione nitrante. Errori di gioventù.
Quel pomeriggio, mentre ero preso tra nitrati, solfati e polveri da sparo, d’un tratto fui colto dalla COC, “chiamata ontologica della Coscienza”. L’ho inventato sul momento. Se c’è anche un negozio ebay di articoli erotici o un’azienda farmaceutica, ogni riferimento è puramente casuale.
Quello che stavo vedendo, era un film. Il film della mia vita. Bene. Lo vedevo attraverso i miei occhi. Ma tutt’intorno, al di là e al di fuori della mia pellicola, chi era il regista del più ampio film del mondo? Sei miliardi di abitanti, un regista a testa, sei miliardi di registi. Quanti s’iscrivono ogni anno al Dams della sola città di Roma. E tutto il resto?
Mettiamo che nel momento in cui si estinsero i dinosauri ci fosse una troupe della CNN. Non esistevano esseri dotati di autocoscienza, ma solo questa telecamera accesa in diretta. Chi accendeva la luce rossa per dire “sei in onda”?
Porca miseria. Le bombe passavano in secondo piano.
Quella sera tornai a casa. Che sarei stato uno scrittore, l’avrei scoperto qualche mese dopo. Che il corpo non è l’anima, dopo circa otto anni.
Squillò il telefono. Mia nonna era preoccupata. “Ciò! Gabrieluccio! — mi disse nel suo tenue accento veneziano — go’ sentìo al telegiornale che i bambini giocano a fare quel che da grandi faranno come lavoro…”. “E dunque?” risposi io. “Ti vol far… el terorìsta!”.
Maledetti telegiornali, che fanno male agli anziani. Ma poi gli anziani si vendicano, votando per Berlusconi.
La notte andai a dormire. Prima di chiudere gli occhi, ripetendo le mie preghiere per far proteggere a Dio le persone cui volevo bene, mi accorsi che già non entravo più in quel mio “Io” con cui mi ero svegliato al mattino. Che l’indomani sarebbe iniziato un viaggio. Il grande viaggio.  

24.04.13 Copyright Gabriele Policardo


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