Un pomeriggio di
molti anni fa, mentre stavo confezionando una bomba, improvvisamente m’interruppi
e chiesi a me stesso: “chi è il regista di tutto questo?”. Mi fermai, il mondo
si fermò. Le risposte che da quel giorno ho cercato di darmi modificarono
profondamente la mia vita.
Avevo 12 anni, e
quel pomeriggio mi trovavo nella nostra casa di campagna. Allora non era stata
ancora ristrutturata, e per me era un magnifico parco di divertimenti. Isolata dalla
città, lontana da tracce di civiltà — ammesso che una pompa di benzina
confinante si possa considerare un totem del progresso — immersa nel silenzio
della Sicilia d’estate, controluce a un maestoso meriggiare di fine agosto.
Non mi domandavo
in quel momento se la mia esigenza di giocare con gli esplosivi fosse una delle
tre seguenti istanze: rivivere una delle mie vite precedenti; diventare esperto
in una materia che avrebbe potuto condurre a una vita avventurosa, rischiosa e
redditizia; esercitare il primo grado della ricerca spirituale, ovvero l’alchimia,
cioè la trasmutazione degli elementi materiali prima d’imparare a trasmutare
quelli spirituali.
La vicina di
casa non sapeva quale delle tre fosse e probabilmente non se l’è mai chiesto. Sapeva
soltanto che, a un certo punto di domenica, la quiete della campagna era squarciata
da un boato assordante. Poi tornava il silenzio.
C’era una
baracca in questa casa di campagna. Avevo allestito un laboratorio. La ragazza
che lavorava nello studio di mia madre mi aveva comprato a Catania delle
ampolle di vetro da chimico di professione. Con quelle riempivo infiniti
pomeriggi cercando di trasformare una sostanza nell’altra e di produrre, tra un
tentativo e l’altro, gli esplosivi più noti della letteratura. Alla fine dei
compiti, a casa della nonna (insegnante privata e formatrice di fanciulli), mi
perdevo nel corridoio buio e facevo le mie ricerche nei volumi pesanti e
odorosi di sigaretta della preziosa enciclopedia Rizzoli Larousse. Non c’era
ancora internet, e passare da una voce all’altra significava olio di gomito. Nel
vero senso della parola.
La domenica
sperimentavo le combinazioni e diventavo, mio malgrado, dotto in chimica. L’unica
materia in cui abbia preso un 10 al liceo.
È d’obbligo qui
bacchettare le industrie che mettono sul mercato acidi diluiti con l’acqua rendendo
complessa l’opera di produrre gli esplosivi più divertenti, come la
nitroglicerina e, susseguentemente, la dinamite (nitroglicerina più farina
fossile o, in mancanza di essa, farina di riso o fecola di patata).
Per fortuna il
progresso mi ha permesso di capire come mai non mi sia mai riuscito il
fulmicotone. Su Youtube ho scoperto che avevo semplicemente dimenticato di sciacquare
il cotone con il bicarbonato, dopo averlo immerso in una soluzione nitrante. Errori
di gioventù.
Quel pomeriggio,
mentre ero preso tra nitrati, solfati e polveri da sparo, d’un tratto fui colto
dalla COC, “chiamata ontologica della Coscienza”. L’ho inventato sul momento. Se
c’è anche un negozio ebay di articoli erotici o un’azienda farmaceutica, ogni
riferimento è puramente casuale.
Quello che stavo
vedendo, era un film. Il film della mia vita. Bene. Lo vedevo attraverso i miei
occhi. Ma tutt’intorno, al di là e al di fuori della mia pellicola, chi era il
regista del più ampio film del mondo? Sei miliardi di abitanti, un regista a
testa, sei miliardi di registi. Quanti s’iscrivono ogni anno al Dams della sola
città di Roma. E tutto il resto?
Mettiamo che nel
momento in cui si estinsero i dinosauri ci fosse una troupe della CNN. Non esistevano
esseri dotati di autocoscienza, ma solo questa telecamera accesa in diretta. Chi
accendeva la luce rossa per dire “sei in onda”?
Porca miseria. Le
bombe passavano in secondo piano.
Quella sera
tornai a casa. Che sarei stato uno scrittore, l’avrei scoperto qualche mese
dopo. Che il corpo non è l’anima, dopo circa otto anni.
Squillò il
telefono. Mia nonna era preoccupata. “Ciò! Gabrieluccio! — mi disse nel suo
tenue accento veneziano — go’ sentìo al telegiornale che i bambini giocano a
fare quel che da grandi faranno come lavoro…”. “E dunque?” risposi io. “Ti vol
far… el terorìsta!”.
Maledetti telegiornali,
che fanno male agli anziani. Ma poi gli anziani si vendicano, votando per
Berlusconi.
La notte andai a
dormire. Prima di chiudere gli occhi, ripetendo le mie preghiere per far
proteggere a Dio le persone cui volevo bene, mi accorsi che già non entravo più
in quel mio “Io” con cui mi ero svegliato al mattino. Che l’indomani sarebbe
iniziato un viaggio. Il grande viaggio.
24.04.13
Copyright Gabriele Policardo
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