domenica 14 luglio 2013

10. L'Agente del Karma



Mio nonno aveva un gatto di nome Chicco. Era un gatto tutto bianco, enorme, nonostante ciò, mite e dolcissimo. Diceva che fosse il suo migliore amico, nonché un figlio. A volte lo “allattava” attraverso la canottiera. Tutti sapevamo in famiglia che tra loro c’era un legame indissolubile. Quando a vent’anni suonati Chicco morì, fu chiaro a ognuno che il nonno, avendo proiettato su di lui se stesso, lo avrebbe seguito a breve. A 94 anni, dopo aver ripetuto per molto tempo che era suo desiderio vedere il 2012, si ammalò improvvisamente. Mia madre mi descrisse i sintomi del suo “edema cerebrale” al telefono: potei fare una diagnosi basata sulle 5 Leggi Biologiche di Hamer, che ricalcava in pieno quella che successivamente fu firmata dal medico di famiglia. Raggiunsi subito il nonno in Sicilia. E benché tutti o quasi lo dessero per morto, iniziai a seguire gl’interventi del medico che, pur non applicando le 5 leggi, coincidevano con il programma essenziale di far sgonfiare gli edemi cerebrali, diversi e critici, dovuti al fatto che il nonno aveva “gettato la spugna”, risolvendo molti importanti conflitti contemporaneamente. In sostanza, essendo stato privato da alcuni parenti del suo ruolo di capofamiglia, esautorato, svalutato, contrastato e attaccato, si era arreso. Il che a livello organico aveva comportato un accumulo eccessivo, drammatico di acqua nel cervello. La situazione era critica. Se avesse risolto anche solo un nuovo conflitto, la pressione intracranica lo avrebbe ucciso. Passarono alcuni giorni. In effetti, la terapia portò a dei miglioramenti. Io stesso girai un video di lui che giocava con mia madre a tirarsi una palla di gomma. In barba ai parenti che già avevano bollato la questione come “tumore al cervello” ed emesso la sentenza di morte, di fronte a tale evento pensai: «e se adesso non muore più? Come se lo spiegheranno?». Accadde che l’indomani, mentre io mi trovavo a casa mia, venni a sapere che l’infermiere che andava tutti i giorni dal nonno aveva avuto la terribile idea di togliergli, di sua volontà, il catetere. E il catetere in quella condizione significava vita o morte. Cercai d’intervenire perché lo rimettesse subito: l’infermiere era impegnato in un altro lavoro e quando poté venire, solo a sera, il danno era fatto. Non potendo più espellere l’acqua, il nonno andò in coma e morì tre ore dopo. Fu evidente che, sebbene si andasse verso una soluzione organica, aveva bruciato tutto il suo karma e l’infermiere non era altro che questo: un emissario, un funzionario della legge che presiede la vita e la morte, l’Agente del Karma. Quando il Karma di una vita si è esaurito, niente può tenere una persona su questo piano di esistenza. Non gli volli male. Quando lo vidi in chiesa, con gli occhi azzurri e il suo sorriso dolce, provai un grande affetto per lui. Era venuto a salutare il nonno come fosse anche un po’ suo nonno. Gli dimostrava lo stesso amore incondizionato per cui, in questa vita, gli è capitato d’interpretare quel ruolo, così importante, così centrale. Colui che taglia il filo e rinchiude nel tempo e nello spazio quella vita, compiendola. La mano che scrive la parola «fine». L’infallibile, puntuale, amorevole Agente del Karma. 

Copyright Gabriele Policardo 2013