«Un maestro!».
Mi serviva un maestro.
Mio padre mi
aveva iscritto a Karate. Il maestro era un suo amico, che somigliava
incredibilmente a Chuck Norris. Il sogno di ogni ragazzino. Non fosse che gli
altri allievi erano dei piccoli insoddisfatti e violenti, affetti da complessi
terribili e quasi del tutto analfabeti. Aumentarono enormemente il mio senso di
diversità e di alienazione. E portare alla coscienza un simile disagio, a quel
tempo, mi pareva significasse deludere mio padre. Perché da piccoli ci si fanno
tanti scrupoli, e si dimentica che i buoni genitori hanno sempre e solo a cuore
il meglio per i propri figli. Ma non v’illudete se pensate che abbia preso la
calata da Libro Cuore: tornerò a parlare di bombe molto presto.
Una volta,
mentre eravamo tranquilli a chiacchierare con gli altri allievi, uno di loro,
più grande di me, d’improvviso mi diede un pugno nello stomaco. Mi tolse il
respiro, ci misi un bel po’ a riprendermi. Lo dissi a mio padre e lui, quando
lo incontrò, lo ammonì che in breve tempo sarei cresciuto e gliel’avrei fatta
pagare. Mio cugino Antonio commentò che già a 10 anni ero più alto di lui. Sparì
dalla circolazione.
Eppure alcuni
principi di quell’arte marziale — che ricordo ancora oggi sia in giapponese che
in italiano — mi aprirono delle finestre. “Rafforza instancabilmente lo
spirito” diceva una delle regole del Dojo Kun. Era il primo contatto con la
filosofia, e che filosofia. Quella orientale più pura e alta. Che solo anni
dopo si sarebbe trovata, nello scaffale della memoria, a fianco dei postulati
della Ragion Pratica di Kant («Tratta l’umanità in te e negli altri sempre come
fine, mai come mezzo»).
Il punto era:
perché bisogna avere un maestro per il karate, uno per il pianoforte e si pensa
di poter scalare da soli la montagna dell’illuminazione? La più difficile delle
mete, la realizzazione del Sé, è per molti una faccenda da autodidatti. Come se
un amante della musica pensasse, da solo, d’imparare in qualche giorno di studio
al piano la Toccata e fuga in Re minore di Bach. Che peraltro è un brano da organo
(ma chi è superbo non fa caso a simili dettagli).
Sapevo, per
esperienza, che croce fosse la parte meno divertente dello studio del
pianoforte. Sì, suonare Chopin o Liszt era bellissimo, ma che noia infinita il
solfeggio, la ripetitività delle note, per non parlare del setticlavio, la
torre di Babele della musica. E poi le scale, e il ripetere all’infinito le
stesse sequenze di note cambiando “l’accento”. Nella testa entrava a forza una
lingua sconclusionata: faladomì, misolsirefà, faddossolrellammissì,
simmillarresoldoffà. Si sol, fa sol fa mi.
«Che vuoi per
cena?»
«Dommissol!».
«A che ora
usciamo?»
«Fammì re do re
do»
E la più ovvia
di tutte: «Sei libera stasera?»
«Sì La Do»
Agli amanti del
gossip rivelo che le prime nove note citate qui su sono tratte dal quarto
movimento della Quinta Sinfonia di Beethoven.
Ma dove trovare
un maestro di discipline spirituali? Quello che ci si avvicinava di più era
Cannarella. L’insegnante di educazione fisica. Che capì subito di non poter mai
trasformare me, un artista, in un atleta. Allora, mentre gli altri sfaticavano
tra corse e inutili giochi di palla (dal misterioso fascino di massa), lui si
sedeva sulla panchina accanto a me e, fumando il sigaro mentre scrutava
l’orizzonte, iniziava il nostro simposio: «Policaddo, parliamo del dadaismo».
Poi mi riaccompagnava a casa in motorino.
Ma a parte lui,
nessun altro mistico o saggio a portata di mano. Alla fine, mi sedetti e pensai, nel fondo del
mio cuore, «io sono qui, quando sarò pronto a incontrarlo, il mio Maestro
arriverà». A oggi, credo che questo mio senso di accettazione provato allora mi
abbia risparmiato dalle grinfie di falsi maestri, adescatori e baracconi. Che
pur nel tempo mi è capitato d’incrociare, tenendomene ben alla larga.
Nel frattempo,
la solitudine che avevo scelto per perseguire la mia ricerca si faceva di tanto
in tanto dolorosa. Per la delusione di un’amicizia iniziai a scrivere. E fu un
bene. Magari oggi mi troverei su qualche spiaggia a cazzeggiare (e oggi piove,
quindi un cazzeggio tristissimo) invece di stare qui a condividere le cose più
importanti della mia vita con un’elite di anime belle.
Poi arrivarono
gli tsunami sentimentali e il primo momento di confronto con il grande tema
cruciale di tutte le storie d’amore: stabilire, difendere e onorare il proprio
valore. Riconoscerlo nell’altro. Costruire qualcosa assieme. E in questa notte
romantica, fatta di albe bellissime e di sprofondi oceanici, trovare riparo dalle
bombe dell’anima.
27.04.13
Copyright Gabriele Policardo
Ti leggo caro. ti leggo e ti seguo, anche se difficilmente mi manifesto. Grazie per la tua presenza preziosa
RispondiEliminaGrazie a te. Sei il primo commento nella storia! Abbracci.
RispondiEliminaAllora ti butto il secondo! Devo ringraziare un amico in comune che mi ha permesso di arrivare fin qui e curiosare tra queste tue righe. È bello leggere qualcuno che ha il coraggio di ricercare e sperimentare su di se prima che su altri e che prova ad andare oltre al buon sperimentare altrui e ne fa buon uso. Ti ringrazio perchè stasera mi hai aiutat a sentirmi meno coglione e più deciso a continuare. Magari ci vediamo presto...intanto un caro abbraccio
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