lunedì 31 marzo 2014

I dissociati sentimentali



Sono tra i mali di questo tempo e vivono indisturbati grazie alla diffusa ignoranza psicologica e alle gravi carenze affettive che la nostra civiltà individualistica e nevrotica consente. Nonostante ciò, ogni minuto può essere l’occasione propizia per liberarsene, se solo si ha la capacità di riconoscerli e circoscriverli: dopo un breve momento di profonda tristezza e biasimo, si potrà sperimentare una nuova libertà e una gioia sconosciute, in solitudine ricostituiva o nel sentire della persona che già, in arrivo, porterà il nuovo paradigma e ricambierà sentimenti più nobili.
Ricordo in particolare una persona che ha fatto con me diverse consultazioni e si è liberata egregiamente di un dissociato sentimentale che la affliggeva da molto tempo, rovesciando in poche ore e drammaticamente i reciproci ruoli. È stata dura, ma ci è riuscita. È una donna molto bella, intelligente ed evoluta, ha successo nella vita e nel lavoro; purtroppo è incappata in un dissociato sentimentale, il caso classico dello pseudo-amico che fa da fidanzato ma sostiene con convinzione di non essere innamorato. A tal punto lei lo ha amato, da mettersi da parte e mettere da parte pure la propria intelligenza, per dare credito alla messinscena del dissociato.
Quando ti metti da parte e pensi «Forse è vero che gli piaccio ma non mi ama, sarò sbagliata io» il danno è fatto! Sei nella rete con tutte le scarpe. Occorre fare un po’ di chiarezza. Gli amici sono persone con cui si ha un rapporto alla pari, al di fuori del bisogno e dell’intimità. Si può anche sentirli una o due volte l’anno e incontrarli con la stessa frequenza, senza che questo comporti un sacrificio o un malessere. Se un amico ha bisogno di telefonarti tutti i giorni e se non rispondi riprova trenta, quaranta volte, non è di certo amicizia a muoverlo. Nonostante se la racconti così. Anche se per il terrore di vivere i propri sentimenti ha costruito una diga tra la testa e il cuore. Ma questo suo scegliere di non vivere, oltre a bloccare la sua vita, sta bloccando la tua.
Ci sono dissociati sentimentali che sono anche bilocati. Vivono due o più storie contemporaneamente e in ciascuna sviluppano un aspetto distinto di sé, come un attore di successo che al culmine della carriera interpreta più film contemporaneamente. Nella loro tragica costruzione della realtà, si convincono che così, perdendo solo una di queste relazioni, potranno sempre ripiegare sull’altra, fermo restando che non vivranno davvero né in questa né in quella. La loro patologia è così forte che per il senso d’identificazione si convincono e ti convincono che innamorarsi di un pezzo dell’altra persona sia possibile e persino naturale: chi è sano finisce col farsi venire una serie di complessi.
Occorre capire che sono persone fortemente scisse, probabilmente non volute dai genitori e hanno vissuto fin dalla nascita questo ossimoro amore/repulsione. Con grande probabilità, la causa del loro trauma è nella sindrome che descrivo e documento nel terzo capitolo di Tarocchi Karma Destino e in quasi tutti i casi in cui ho sentito descrizioni affini, indagando si è giunti a scoprire che è questa la risposta all’enigma del loro tormento. Vale a dire il tenere a distanza di sicurezza le persone con cui si prova coinvolgimento e completezza, per la paura inconscia che possano sparire o morire, reinnescando un abbandono rimosso.
Per uscirne è necessario ritrovare in sé tutta la forza dell’adulto. Un adulto ha chiarezza dei propri sentimenti, li vive fino in fondo e quando propone una relazione a una persona che gl’interessa è chiaro nella posizione che intende occupare. Sta nella relazione per scelta, non per bisogno e con gioia, non con lutto. Un amico è un amico. Un amante è un amante. Un fidanzato è un fidanzato. Sono tre cose ben distinte. E se lui (o lei) non è abbastanza adulto da conoscere la differenza, solo lasciandolo andare, con tutto il proprio amore, gli si dà l’occasione di lavorare su di sé e di venire a capo della dissociazione sentimentale di cui è portatore. 

tratto da "Superare i Conflitti", Ebook gratuito scaricabile al seguente indirizzo: 

http://www.spaziointeriore.com/files/superare-i-conflitti.pdf
 



giovedì 27 marzo 2014

La Sindrome dell'Abbandono



Come per ogni altro conflitto, per venire a capo della sindrome dell’abbandono è necessario sapere e vedere, come in un film, quando e come essa è nata, cioè, quale è stato il primo abbandono ad aver impresso una svolta così drammatica alla vita. «È accaduto quando ero vulnerabile, quando non avevo alcuna protezione. Porto quella fragilità in ogni relazione.» Scopro così, in una grande quantità di consultazioni, che in quasi tutti i casi si attribuisce quel sintomo all’evento sbagliato — ciò è il motivo per cui il sintomo sussiste e si ricasca nel copione dell’abbandono. Classico è l’abbandono di una madre… che non ha mai abbandonato e che si prende dunque colpe non sue. Spesso io chiedo: «Chi ti ha abbandonato?». Mi sento rispondere con qualche variazione: «mi ha abbandonato la mamma, il primo fidanzato, l’amica prediletta, lo zio che era come un padre, ecc.» Ma indagando un po’ più profondamente, si rivela con discreta facilità che l’effetto dirompente e drammatico di quell’abbandono specifico fu dovuto al fatto che esso non era il primo, bensì il secondo, ed ecco il motivo dell’impatto devastante nella sfera emotiva e psichica. Allora io dico: «tu quella volta sei caduto nel panico perché hai pensato ‘Non abbandonarmi anche tu!’» «È vero» dice l’altro. «Ma non mi ero mai soffermato a pensare al significato profondo e reale di questo pensiero.» Eppure, quando la nostra anima parla, dovremmo ascoltarla con attenzione. Un bravo detective dell’anima pone subito la sua attenzione su quel «anche tu.» Così, come in un’indagine poliziesca, portiamo alla luce una verità che costituisce la vera strada. Abbiamo il punto esatto in cui scavare, siamo al cospetto della corretta descrizione e dunque della soluzione. Possiamo regolare i conti con chi davvero ci ha abbandonato (capire perché ci sentiamo così anche se — di fatto — nessuno ci ha mai abbandonato veramente). Già il vento soffia nelle vele della liberazione.
— Gabriele Policardo

lunedì 24 marzo 2014

"Superare i conflitti" - Ebook gratuito (Spazio Interiore Editore)



Superare i conflitti vuol dire proprio abbandonarsi alla verità che è dentro di noi e preme per uscire a liberare la nostra divina bellezza e completezza. Prendere coscienza che c’è un vento che spinge inesorabilmente la vita verso la direzione in cui gli ordini — cui siamo soggetti — conducono perché si compia il più alto grado di armonia e perfezione. Noi possiamo in qualunque momento scegliere di stare bene. Di cambiare quel che non ci assomiglia, di prendere la strada che va da «Io sono questo» a «Io sono quello, io desidero essere quello.» La maggior parte delle descrizioni e dei racconti contenuti in questo libro viene proprio da quel «porto sepolto» pieno di tesori che è la nostra psiche profonda. Allora tutte le catastrofi cui sono andato incontro nel lavoro e nella mia vita non sono state vane, se tutte insieme, al peso del mio dolore di allora, sono confrontate alla leggerezza di una sola delle persone che — attraverso il nostro lavoro — ha saputo prendere in mano la propria esistenza, cessare un lungo dolore e prendere un nuovo respiro che ha illuminato la sua anima come un’alba a lungo attesa.

 L'intero libro è scaricabile gratuitamente al seguente indirizzo:

http://oltre-confine.com/download/superare-i-conflitti.pdf

venerdì 21 marzo 2014

Costruire una relazione



Costruire una relazione è un lavoro complesso e a tratti difficile. Occorre continuamente lavorare su di sé, migliorare, non dare nulla per scontato, né per se stessi, né per l’altro. È fondamentale aver creato uno spazio per accoglierlo, ma non meno impegnativo è mantenerlo, curarlo, rinnovarlo. Non ci dobbiamo affezionare all’idea che abbiamo di noi, né di lui. Poiché costruire una relazione significa crescere insieme e cambiare ogni istante: se uno dei due si ferma, inizia a perdere l’altro. Molto di frequente, prendiamo l’altro e lo infiliamo in una storia che abbiamo scritto noi per lui, lo rinchiudiamo in una scatola e smettiamo di percepirlo. Non ci dovremmo meravigliare, se dopo giorni, mesi o anni, ci voltiamo a guardarlo e realizziamo che si tratta di un estraneo. Essere in una relazione è come mantenersi nella gioia, nell’abbondanza e nella serenità, il frutto di un impegno costante, una scelta che si compie ogni giorno. Un progetto chiamato destino.
— Gabriele Policardo (foto di Gina Vasquez)

venerdì 7 marzo 2014

L'ordine e l'immaginazione

Esiste un luogo segreto in cui ogni bambino si rifugia, protetto dalla sua immaginazione, tutte le volte che la vita gli infligge un dolore che non riesce a sopportare. Quel rifugio tappezzato di fantasia è la via di salvezza da un mondo in cui gli adulti si scoprono piccoli, traditori, bugiardi, meschini, inadatti alla vita, deboli e violenti. A volte quegli adulti sono i genitori, e quel rifugio è l’altra via che s’incontra al bivio con la morte. Quando un bambino cresce e fa di quel rifugio un tempio, ha vergogna e rispetto di quello spazio sacro nel suo cuore e non vi lascia entrare nessuno. Se lo fa, è perché il suo animo è ancora puro e generoso, come quello del sé bambino. Allora quello spazio protetto dall’immaginazione diventa qualcosa d’immensamente più grande e importante: inizia a salvare la vita di altri bambini, e questi bambini un giorno diverranno adulti o — se lo sono già — possono tornare per qualche istante indietro e abbracciare finalmente i bambini che sono stati. Chi per lavoro produce immaginazione, crea cioè quello spazio segreto perché possa salvare altre vite innocenti, in tempi come questo non ha vita facile. Sente — o dovrebbe sentire — sulle proprie spalle una pesantissima responsabilità: creare storie capaci di sublimare l’orrore che c’inghiotte ogni giorno, sforzarsi di essere utile, costruire un rifugio nascosto e protetto in cui respirare un’aria pulita, sognare una vita felice, vedere immagini meravigliose e ascoltare la musica di magnifiche orchestre. Non è una fuga, come non lo era da bambini: è un atto di ribellione, è la scelta della vita. Ho pianto ieri sera guardando al cinema “Saving Mr Banks”, il film che narra la sofferta genesi del capolavoro senza tempo “Mary Poppins”, un film che ha introdotto alcuni momenti familiari felici nella vita di milioni di bambini irrimediabilmente feriti. Ho riflettuto su come molti grandi film, come tanti celebri destini, nascano sulle rovine di una vita dilaniata dal dolore e trasformino in capolavori di parole, colori e suoni il tentativo disperato di dare un finale diverso alla propria vita, fare la pace con un genitore o semplicemente riabilitarlo nella propria memoria. Forse è per questo che in momenti come quello che viviamo avremmo bisogno proprio di quegli autori che posso dare quasi con certezza come una specie estinta. Creatori di un mondo alternativo, che ci strappino per un paio d’ore alla veglia funebre che il potere sta celebrando per noi e per le nostre generazioni a venire, con la complicità del «cinema», della «televisione», della «cultura.» Abbiamo bisogno di qualcuno che ci porti per mano nel regno della sua fantasia e riscriva ogni giorno, per noi, una realtà che è ormai insostenibile ai più. Un piccolo indiano che c’inviti nella sua tenda fatta con un lenzuolo e tre rami, mentre fuori gli adulti urlano, s’insultano e si fanno la guerra come solo sanno fare. «Questo facciamo noi narratori — dice un intenso Tom Hanks nei panni di Walt Disney — ristabiliamo l’ordine con l’immaginazione.» A questo serve la fantasia: a curare le ferite aperte dalla realtà. A compensare i traumi che segnano il nostro destino. A far tacere le voci dei fantasmi che da soli non riusciamo a scacciare. A renderci, per un attimo ineffabile e salvifico, il bambino felice che ogni essere umano ha diritto di essere almeno una volta nella vita.