mercoledì 4 dicembre 2013

Ciascun uomo è una descrizione del mondo.



A 25 anni venni a sapere di un osteopata kinesiologo che curava il corpo e la mente, che dava se non risposte, soluzioni, che se tu andavi da lui, tutto il mondo saltava per aria e poi iniziavi a stare meglio. Non avevo mai chiesto alcun tipo di aiuto, né credevo di averne bisogno. Eppure fui onesto con me stesso e mi confessai di stare male. Avevo patito un pesante abbandono, mi portavo dentro un misto di male di vivere, ricerca, frustrazione, inadeguatezza, rifiuto, tristezza. A volte avevo desiderato la morte. Altre mi svegliavo con un tale peso sullo sterno da non riuscire a respirare, da voler risprofondare nel sonno. Decisi che se attraverso il suo aiuto avrei potuto migliorare la qualità della mia vita, quel mettermi in gioco sarebbe stato un atto di coraggio e di rinascita, quei soldi sarebbero stati i più utili mai spesi. Andai da lui e dissi: «il mio nome è Gabriele, sto male, non mi offendo, voglio risolvere tutto e subito». Lui era un uomo impossibile da definire usando parole o aggettivi. Mi ricordava, con il suo sguardo profondo che vede dentro e oltre, gli egizi alieni del film «Stargate». Nel silenzio con cui mi ascoltava, si nascondeva il mistero di certe tradizioni sciamaniche da lui in seguito narrate e, di fatto, l’incredibile — per me — realtà che avesse molte descrizioni, molti approcci, molti diversi strumenti per comprendere le cause di un problema e risolverlo in profondità. Lui sapeva guardare una persona da alcuni metri e capire con chi aveva litigato quella mattina. Tirò fuori dalla mia pancia un dolore antico, che non si era mai staccato da quelle cellule. Mi fece fare pace con persone e situazioni dalla cui liberazione trassi un immediato beneficio. Qualche giorno dopo presi un treno. Mentre camminavo alla stazione Termini a Roma, imparai a sentire quella voce di saggezza che lui aveva introdotto nella mia mente, come una serie di comandamenti dell’amore. Mi accorsi che potevo smettere di giudicarmi, di sentirmi piccolo, limitato, in pericolo. Che il mondo poteva essere una grande avventura e un’occasione continua di scoperta e meraviglia. Che i miei dolori di stomaco erano il frutto di questo contorcimento mentale. Arrivai a Napoli, perché la sera avrei assistito alla splendida riedizione, a distanza di molti decenni, delle “Nozze di Figaro” di Mozart, una delle mie opere preferite. Per confermarmi la certezza di quanto compreso, arditamente e proditoriamente mangiai un tris di fritti bomba, sapendo che stavolta non sarei stato male. Così fu. Era iniziato il mio percorso di consapevolezza e accettazione. L’amore aveva ricominciato a scorrere nella mia vita. Il mio terapista mi vide in altre due o tre occasioni, poi mi lasciò dicendo che avevo tutti gli strumenti per farcela da solo. Oggi ritengo che ciascun uomo sia una descrizione di sé e del mondo. Che per principio, un vero scienziato non dovrebbe mai escludere niente prima di averlo sperimentato. Che un domani potrebbe arrivare un piccolo Mozart dell’anima a scoprire che i fili d’erba decotti e presi al chiaro di luna recitando il mantra “son figo son figo son figo” fanno passare più in fretta la depressione o trasformano la tristezza in entusiasmo. Non credo nelle guerre di religione, intendendo con questa parola qualunque forma sistematica di conoscenza imposta come dogma e sorretta dalla paura e dalla sospensione del senso critico. Non credo che il mio Dio sbianca più bianco del tuo, né che esistano verità assolute prescrivibili tra uomini come scatole di antifiammatori. Anche se il dio si chiama Freud, Barnard o Jung. Occorre avere una grande predisposizione all’ampiezza. Distruggere la paura e accogliere la vita nella sua vastità incontenibile. Accettare che nessuna scuola, nessun percorso, nessuna religione saranno mai il punto di arrivo di nulla. Che Hegel toppava quando disse che la sua filosofia era il compimento supremo della filosofia stessa, come se il genere umano fosse destinato a morire nella sua ricerca in lui. Che finché esisterà un uomo vivo su questo pianeta, esisterà un nuovo territorio da esplorare, una nuova descrizione per dare una forma, un significato, un senso al nulla. Il percorso che propongo io nelle mie consultazioni è una collezione di tutti i percorsi terapeutici, sapienziali, conoscitivi e delle descrizioni più efficaci che ho sperimentato su di me e sugli altri. Prima e a lungo privatamente, in segreto, poi pubblicamente, mettendomi in gioco. Propongo una strada solo se funziona in almeno il 90% delle persone. Ammettendo che esiste un 10%, e forse anche di più, di persone che affermano di voler cambiare ma in realtà amano molto restare come sono, lì dunque il rispetto e l’amore prescrivono di alzare le braccia e fare un sorriso. So che chiunque sa guidare uno sconosciuto fuori dal labirinto di cui ha scoperto la strada, che portare alla luce verità nascoste salva la vita a molti livelli. Ho imparato moltissimo da ogni persona che si è seduta davanti a me. Ogni giorno ricevo almeno dieci mail da perfetti sconosciuti che mi scrivono solo per dirmi “grazie”. È un loro bisogno, che ricevo come un mazzo di fiori profumati e freschi. Per il resto, considero questo lavoro un aspetto della mia professione di autore, cioè di creatore di realtà, descrittore di fenomeni, ricercatore di verità. Ritengo che fra qualche secolo vivremo in un mondo solidale e integrato, in cui ciascuno sarà al servizio dell’altro e non ci sarà più bisogno di terapisti, medicine, code in auto né uffici. Intanto sono qui, a continuare con voi questa ricerca. Ad accogliere in ognuno di voi il miracolo e la possibile verità che chiunque porta nella vita degli altri. Poiché ogni persona è una scintilla di coscienza divina. E ciascuno è una descrizione del mondo. 
(Gabriele Policardo)

 



Il demone dell'Amore e del Fato

Due persone si conoscono e si attraggono. Tra di loro nasce un improvviso maremoto che, come su due opposte scogliere, fa abbattere una bufera di sentimenti incontrollabili in un geometrico gioco di specchi. Sentono di conoscersi da sempre, di essersi ritrovati dopo una lunga ricerca e semplicemente riconosciuti. L’una completa le frasi iniziate dall’altra, bastano poche ore per scoprire che si sta bene e ci si sente completi anche nel più totale silenzio. Il mondo intorno sembra scomparire. O a tratti, animarsi, brillare come fosse fatto di scintille: vive, coscienti, pulsanti. L’amore e gli eventi precipitano. Si dicono «ti amo» e si ripetono «per sempre». Fanno progetti e già vivono tutto il tempo, passato, presente, futuro, nel respiro di un’intesa mai vissuta prima. D’un tratto, una delle due infrange questo idillio e fa saltare tutto. Senza ragioni, né spiegazioni, né tanto meno possibilità d’appello: si ritrae e distrugge tutto, senza alcun apparente motivo. L’altra piomba nel panico, si sente avvolta da un senso di morte, come inghiottita in un abisso. Ciò che la devasta di più è la mancanza di razionalità, l’impossibilità di attribuire un senso a questo nuovo nulla, la convinzione di aver vissuto qualcosa di reale con l’ipotesi di averlo solo sognato. L’altro? Mentiva? Recitava? È una persona folle? Niente di tutto questo. Si è solo attivato in lei, o in lui, il demone dell’amore e del fato che coglie improvvisamente quelle persone che — d'improvviso — grazie a un amore a lungo atteso, si toccano profondamente e si espandono al punto di sentirsi degli Déi. Da quel momento, se per un motivo che possiamo solo supporre, ritengono di non meritare quell'amore profondamente, diverranno delle autentiche bombe a orologeria. Sopraffatti dal terrore che il destino possa improvvisamente sottrargli ciò che li rende completi e felici, non avendo motivi per nutrire un timore reale (ciò che annichilisce la persona rifiutata è che tutto andava come in una fiaba, senza una nota stonata), distruggono loro stessi quanto hanno costruito. Per dimostrarsi di non meritare nulla, che nella vita andrà sempre e comunque male. Sono le persone che quando leggono o sentono parlare di destino, di anime gemelle, di amori assoluti, storcono il naso, sollevano la spalla, dicono tra sé «non può succedere, non può essere possibile, non può capitare a me». La vita invece li contraddice subito e loro, nello stordimento iniziale, ci credono e si lasciano andare, perché quel che vivono è ovviamente reale. Ed è proprio perché tutto ciò che attraversano è vero, profondo, assoluto, che al culmine, quando ormai ci sono completamente dentro, chiudono tutto. 
Come fa chi è stato rifiutato a confrontarsi con questa situazione? È giusto, una volta subìto il rifiuto, tentare di mediare, di ricucire, di far ragionare l’altro, di aiutarlo a superare il proprio demone? Dalla mia esperienza, l'unico modo di reagire a questi bambini spauriti è non essere accondiscendenti ma causare uno shock ancora più forte. Ingoiare il cuore, fermare il tremore del proprio dolore e mettere un punto con una frase lapidaria: «ah sì, va bene come dici tu, ciao buona vita». Poiché stare al gioco dell’altro è solo uno stillicidio lancinante. Loro si comportano come pazzi. Dal giorno alla notte chiudono tutto. Sapendo che gli altri, i "sani", saranno lì a sperare di ricostruire quella verità, di recuperare il sogno, di tornare a vivere a quel livello. Naturalmente, torneranno prima o poi a farsi vivi, a sondare il terreno, a cercare il perdono per poter poi costruire una nuova e più perfetta punizione autoinflitta. È uno strano, terribile, gioco perverso, in cui vince chi è (o si dimostra) più «pazzo». Chi interpreta meglio il ruolo della persona gelida, disumanizzata, impietrita. Naturalmente è una finta: noi sappiamo che quella persona ha tirato fuori di noi una divinità che risiede nel nostro cuore. Ed è proprio questo che l’ha terrorizzata, non ha saputo gestire quell’immensa energia che è l’amore, la felicità. Ma credere che sia qualcosa che, per noi, dipende da loro, significa nutrirli e fare il loro gioco. L'amore che sappiamo vivere e dare è un nostro patrimonio. Se l’altro si tira indietro, è un suo diritto. E un nostro tenerlo fuori finché non avrà risolto i suoi demoni. 
(Gabriele Policardo)