venerdì 7 marzo 2014

L'ordine e l'immaginazione

Esiste un luogo segreto in cui ogni bambino si rifugia, protetto dalla sua immaginazione, tutte le volte che la vita gli infligge un dolore che non riesce a sopportare. Quel rifugio tappezzato di fantasia è la via di salvezza da un mondo in cui gli adulti si scoprono piccoli, traditori, bugiardi, meschini, inadatti alla vita, deboli e violenti. A volte quegli adulti sono i genitori, e quel rifugio è l’altra via che s’incontra al bivio con la morte. Quando un bambino cresce e fa di quel rifugio un tempio, ha vergogna e rispetto di quello spazio sacro nel suo cuore e non vi lascia entrare nessuno. Se lo fa, è perché il suo animo è ancora puro e generoso, come quello del sé bambino. Allora quello spazio protetto dall’immaginazione diventa qualcosa d’immensamente più grande e importante: inizia a salvare la vita di altri bambini, e questi bambini un giorno diverranno adulti o — se lo sono già — possono tornare per qualche istante indietro e abbracciare finalmente i bambini che sono stati. Chi per lavoro produce immaginazione, crea cioè quello spazio segreto perché possa salvare altre vite innocenti, in tempi come questo non ha vita facile. Sente — o dovrebbe sentire — sulle proprie spalle una pesantissima responsabilità: creare storie capaci di sublimare l’orrore che c’inghiotte ogni giorno, sforzarsi di essere utile, costruire un rifugio nascosto e protetto in cui respirare un’aria pulita, sognare una vita felice, vedere immagini meravigliose e ascoltare la musica di magnifiche orchestre. Non è una fuga, come non lo era da bambini: è un atto di ribellione, è la scelta della vita. Ho pianto ieri sera guardando al cinema “Saving Mr Banks”, il film che narra la sofferta genesi del capolavoro senza tempo “Mary Poppins”, un film che ha introdotto alcuni momenti familiari felici nella vita di milioni di bambini irrimediabilmente feriti. Ho riflettuto su come molti grandi film, come tanti celebri destini, nascano sulle rovine di una vita dilaniata dal dolore e trasformino in capolavori di parole, colori e suoni il tentativo disperato di dare un finale diverso alla propria vita, fare la pace con un genitore o semplicemente riabilitarlo nella propria memoria. Forse è per questo che in momenti come quello che viviamo avremmo bisogno proprio di quegli autori che posso dare quasi con certezza come una specie estinta. Creatori di un mondo alternativo, che ci strappino per un paio d’ore alla veglia funebre che il potere sta celebrando per noi e per le nostre generazioni a venire, con la complicità del «cinema», della «televisione», della «cultura.» Abbiamo bisogno di qualcuno che ci porti per mano nel regno della sua fantasia e riscriva ogni giorno, per noi, una realtà che è ormai insostenibile ai più. Un piccolo indiano che c’inviti nella sua tenda fatta con un lenzuolo e tre rami, mentre fuori gli adulti urlano, s’insultano e si fanno la guerra come solo sanno fare. «Questo facciamo noi narratori — dice un intenso Tom Hanks nei panni di Walt Disney — ristabiliamo l’ordine con l’immaginazione.» A questo serve la fantasia: a curare le ferite aperte dalla realtà. A compensare i traumi che segnano il nostro destino. A far tacere le voci dei fantasmi che da soli non riusciamo a scacciare. A renderci, per un attimo ineffabile e salvifico, il bambino felice che ogni essere umano ha diritto di essere almeno una volta nella vita. 

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