A 25 anni venni a sapere di un osteopata
kinesiologo che curava il corpo e la mente, che dava se non risposte,
soluzioni, che se tu andavi da lui, tutto il mondo saltava per aria e poi
iniziavi a stare meglio. Non avevo mai chiesto alcun tipo di aiuto, né credevo
di averne bisogno. Eppure fui onesto con me stesso e mi confessai di stare
male. Avevo patito un pesante abbandono, mi portavo dentro un misto di male di
vivere, ricerca, frustrazione, inadeguatezza, rifiuto, tristezza. A volte avevo
desiderato la morte. Altre mi svegliavo con un tale peso sullo sterno da non
riuscire a respirare, da voler risprofondare nel sonno. Decisi che se
attraverso il suo aiuto avrei potuto migliorare la qualità della mia vita, quel
mettermi in gioco sarebbe stato un atto di coraggio e di rinascita, quei soldi
sarebbero stati i più utili mai spesi. Andai da lui e dissi: «il mio nome è
Gabriele, sto male, non mi offendo, voglio risolvere tutto e subito». Lui era
un uomo impossibile da definire usando parole o aggettivi. Mi ricordava, con il
suo sguardo profondo che vede dentro e oltre, gli egizi alieni del film
«Stargate». Nel silenzio con cui mi ascoltava, si nascondeva il mistero di
certe tradizioni sciamaniche da lui in seguito narrate e, di fatto,
l’incredibile — per me — realtà che avesse molte descrizioni, molti approcci,
molti diversi strumenti per comprendere le cause di un problema e risolverlo in
profondità. Lui sapeva guardare una persona da alcuni metri e capire con chi
aveva litigato quella mattina. Tirò fuori dalla mia pancia un dolore antico,
che non si era mai staccato da quelle cellule. Mi fece fare pace con persone e
situazioni dalla cui liberazione trassi un immediato beneficio. Qualche giorno
dopo presi un treno. Mentre camminavo alla stazione Termini a Roma, imparai a
sentire quella voce di saggezza che lui aveva introdotto nella mia mente, come
una serie di comandamenti dell’amore. Mi accorsi che potevo smettere di
giudicarmi, di sentirmi piccolo, limitato, in pericolo. Che il mondo poteva
essere una grande avventura e un’occasione continua di scoperta e meraviglia.
Che i miei dolori di stomaco erano il frutto di questo contorcimento mentale.
Arrivai a Napoli, perché la sera avrei assistito alla splendida riedizione, a
distanza di molti decenni, delle “Nozze di Figaro” di Mozart, una delle mie
opere preferite. Per confermarmi la certezza di quanto compreso, arditamente e
proditoriamente mangiai un tris di fritti bomba, sapendo che stavolta non sarei
stato male. Così fu. Era iniziato il mio percorso di consapevolezza e
accettazione. L’amore aveva ricominciato a scorrere nella mia vita. Il mio
terapista mi vide in altre due o tre occasioni, poi mi lasciò dicendo che avevo
tutti gli strumenti per farcela da solo. Oggi ritengo che ciascun uomo sia una
descrizione di sé e del mondo. Che per principio, un vero scienziato non
dovrebbe mai escludere niente prima di averlo sperimentato. Che un domani
potrebbe arrivare un piccolo Mozart dell’anima a scoprire che i fili d’erba decotti
e presi al chiaro di luna recitando il mantra “son figo son figo son figo”
fanno passare più in fretta la depressione o trasformano la tristezza in
entusiasmo. Non credo nelle guerre di religione, intendendo con questa parola
qualunque forma sistematica di conoscenza imposta come dogma e sorretta dalla
paura e dalla sospensione del senso critico. Non credo che il mio Dio sbianca
più bianco del tuo, né che esistano verità assolute prescrivibili tra uomini
come scatole di antifiammatori. Anche se il dio si chiama Freud, Barnard o
Jung. Occorre avere una grande predisposizione all’ampiezza. Distruggere la
paura e accogliere la vita nella sua vastità incontenibile. Accettare che
nessuna scuola, nessun percorso, nessuna religione saranno mai il punto di arrivo
di nulla. Che Hegel toppava quando disse che la sua filosofia era il compimento
supremo della filosofia stessa, come se il genere umano fosse destinato a
morire nella sua ricerca in lui. Che finché esisterà un uomo vivo su questo
pianeta, esisterà un nuovo territorio da esplorare, una nuova descrizione per
dare una forma, un significato, un senso al nulla. Il percorso che propongo io
nelle mie consultazioni è una collezione di tutti i percorsi terapeutici,
sapienziali, conoscitivi e delle descrizioni più efficaci che ho sperimentato
su di me e sugli altri. Prima e a lungo privatamente, in segreto, poi
pubblicamente, mettendomi in gioco. Propongo una strada solo se funziona in
almeno il 90% delle persone. Ammettendo che esiste un 10%, e forse anche di
più, di persone che affermano di voler cambiare ma in realtà amano molto
restare come sono, lì dunque il rispetto e l’amore prescrivono di alzare le
braccia e fare un sorriso. So che chiunque sa guidare uno sconosciuto fuori dal
labirinto di cui ha scoperto la strada, che portare alla luce verità nascoste
salva la vita a molti livelli. Ho imparato moltissimo da ogni persona che si è
seduta davanti a me. Ogni giorno ricevo almeno dieci mail da perfetti
sconosciuti che mi scrivono solo per dirmi “grazie”. È un loro bisogno, che
ricevo come un mazzo di fiori profumati e freschi. Per il resto, considero
questo lavoro un aspetto della mia professione di autore, cioè di creatore di
realtà, descrittore di fenomeni, ricercatore di verità. Ritengo che fra qualche
secolo vivremo in un mondo solidale e integrato, in cui ciascuno sarà al
servizio dell’altro e non ci sarà più bisogno di terapisti, medicine, code in
auto né uffici. Intanto sono qui, a continuare con voi questa ricerca. Ad
accogliere in ognuno di voi il miracolo e la possibile verità che chiunque
porta nella vita degli altri. Poiché ogni persona è una scintilla di coscienza
divina. E ciascuno è una descrizione del mondo.
(Gabriele Policardo)