lunedì 26 maggio 2014

COSTRUISCO UNA SERRA PER IL MIO DOLORE

In questi giorni parlo spesso con persone che stanno uscendo da situazioni dolorose. Mi sorprendo di quanto la nostra civiltà insensata abbia formattato il protocollo del dolore come una qualunque pratica psichica da evadere nel minor tempo possibile, discretamente, preferibilmente in silenzio e di nascosto. Non spendo qui parole sul tema già affrontato riguardo la completa rimozione della morte. La rimozione del dolore non è una stoltezza meno allarmante. Questa pianta nera dell’anima, che cresce di giorno e di notte, che si moltiplica, si espande, affonda radici ovunque, si riproduce anche senz’acqua né sole ed è l’unica a svilupparsi al chiaro di luna o alla luce delle stelle, nelle notti più buie: è vano e folle cercare di dire «tu non esisti.» Una persona subisce un lutto, si trova alla fine di una relazione, viene lasciata per qualcun altro e si sente abbandonata: mentre il cuore le va in pezzi, l’anima si oscura e la mente inizia a girare senza sosta, consumando immense quantità di energia psichica, la sua preoccupazione è quella di annullare il dolore, farlo sparire, riprogrammarsi come un computer infettato da un virus. C’è una pubblicità che ho visto in tv, anticipa una fiction che parla di psicoanalisi: mentre scorrono sullo schermo i volti disanimati di poveri pazienti, sopra le loro voci campeggia quella dello pseudo-guru che dice, con sussiego biblico, «finalmente ho capito cosa non va in te!» Mi è venuto di entrare nello schermo e rispondergli «avrei invece io qualcosa da dirti su quello che non va in te!» Quello che non va è che siamo ormai abituati dalla nostra civiltà insensata ad accendere il riflettore, a puntare microscopi e telescopi, su quello che non va, gettando nella spazzatura tutto quello che invece va, è costato anni di sacrifici ed è stato mantenuto in equilibrio miracoloso forse per decenni. Il dolore è parte di questa alchimia del passaggio dalla sopravvivenza alla Vita. Ora, non è dicendo «il dolore non c’è» che si può trovare la giusta, completa e reale guarigione. Se ho condiviso con una persona che amo intere stagioni della mia vita, se tutta la mia casa parla di lei, se sono circondato da oggetti donati da lei, che hanno il suo odore, che contengono ciascuno un “film” insieme, se la sua anima «emerge dalle cose» come dice Neruda e tutto il mio mondo ne era intriso, perderla per un qualsiasi motivo dev’essere necessariamente una catastrofe, perché noi non siamo macchine, né computer, né dissociati anaffettivi e disumanizzati come molti che passano da una sciagura sentimentale all’altra, fuggendo dal pericolo d’innamorarsi, coinvolgersi, lasciarsi contattare e cambiare dai sentimenti. Se noi abbiamo amato e continuiamo ad amare, dobbiamo soffrire e soffriremo. Non si può «farsene una ragione», né «darsi coraggio.» Bisogna saper dire «io sto male, io ho bisogno di aiuto, io chiedo aiuto a chi me ne può dare.» La compassione falsa che ci circonda, in questo mare di sentimentalismo, è un veleno anche peggiore: ci trasforma tutti in bambini, togliendoci la forza di crescere e farcela davvero, con l’aiuto necessario al momento necessario («ho capito cosa non va in te!» significa «piccolo bimbo sofferente, ora ti mostro quanto sono forte e migliore di te!»). Alcuni mi chiedono se sia normale provare la mancanza, aver voglia di piangere, di non alzarsi dal letto, di telefonare e di urlare, dichiarare il bisogno di un abbraccio o di un qualsiasi momento del passato perduto. Sì, certo che è normale. Ciò che non è normale è questa stupida idea che ci sia un modello di perfezione, di distacco, di atarassia, uno stato cristallizzato e analgesico. L’unico modo di non soccombere al dolore, combattendolo in un match di pugilato che non di rado sfiora la morte, è costruirgli uno spazio dentro di noi, dargli importanza, riconoscerlo, dialogare con lui: creare una serra dentro la nostra anima e lasciare che cresca, raggiunga la massima estensione, dia i suoi frutti e, come tutte le cose umane, si secchi e muoia. Lasciando lo spazio ad altre piante, piene di fiori colorati e profumati, che saranno tutti i nostri futuri progetti, successi e amori.
— Gabriele Policardo


giovedì 15 maggio 2014

La scelta



«Vuoi vivere? O vuoi morire?» questa sembra la domanda che in questo momento, nel segreto del proprio cuore, la maggior parte delle persone si pone ogni mattina, al risveglio. Mi fa aggrappare con forza a un ricordo di bambino: tornai a scuola dopo le vacanze estive e una bambina che mi piaceva mi disse «ciao» con un sorriso grandissimo e mi diede un bacio sulla guancia. Quel «ciao» sprigionò in me un’energia così forte, alta e potente, che per anni mi sono riconnesso a quel bacio, nei tempi tristi, ricavandone ancora gioia; tutt’oggi, se ci penso, sento che quella piccola felicità, così pura e totale, non si è ancora del tutto esaurita. Quella bambina mi ha aiutato a vivere. Il suo «Ciao» mi ha salvato nei miei giorni più bui. In quell’abbraccio, avevo sentito d’improvviso aprirsi una «gravità» più grande nella mia vita, una forza divina, un rapimento dall’alto, un campo di energia sconosciuto ma simile a me, che mi faceva sentire in contatto con un Dio dentro di me. Ma quel giorno imparai anche quanto sia pericoloso attribuire questo fenomeno alla persona che ti dà quell’esperienza: essa si trova in mano il potere di unirti alla vita quando si avvicina a te e farti provare un senso di morte nell’allontanarsi. Questo è il movimento che vedo oggi intorno a me. Ne parlo perché le sue proporzioni sono divenute evidenti. Almeno una persona al giorno viene da me, a lavorare in una consultazione, portando problemi all’apparenza innocui, che nascondono in realtà una scelta ben più profonda: quella tra vivere e morire. Siamo in un momento di grande trasformazione collettiva, in cui c’è un vero e proprio salto tra un modello esaurito e uno assai più rarefatto ed evoluto. In questo cambiamento, tutte le strutture, non solo quelle sociali e antropologiche, ma soprattutto quelle psichiche e fisiche, vengono scardinate alle fondamenta. Le soluzioni che funzionavano fino a pochi anni fa, si rivelano inconsistenti. Terapie, farmaci, cure: tutto sembra scontrarsi con una forza più grande, che trascende di molto la nostra comprensione. Molti non si accorgono del rischio che corrono e di come la scelta stia solo a loro: l’essere attratti dalla morte, il pensiero fisso, il non avere un progetto, il ripetere una sequenza di azioni quotidiane in totale assenza di sé, è di fatto un chiaro segnale che se può apparire ambiguo dall’interno, è chiarissimo dal di fuori. Parlerò solo di un movimento, il più frequente tra quelli che vedo, e che conosco bene anche per esperienza diretta: il movimento dell’amare una persona che vuole morire e giungere, per amore, al sacrificio estremo di andare con lei o al posto suo. Per anni ho fatto da scudo, in alcuni momenti terribili per me, a persone corrose dalla colpa, persone che amavo e frequentavo, tese verso la morte: stavano spingendo avanti me chiedendomi inconsciamente di andare per loro. Sentivo allora la mia anima appesantirsi e scendere verso il basso, la luce e il respiro mancare, la voglia di vivere affievolirsi; i progetti, i sogni, i desideri e i sentimenti inaridirsi e distruggersi, svanire. Solo oggi riesco a mettere a fuoco con lucidità quanto mi stava succedendo allora. Questa lucidità mi consente di riconoscere tale movimento negli altri e mostrarlo. Perciò riesco a dare a molte persone l’esperienza di ricollegarsi alla Vita, di guardare verso di lei, di aprirsi alla Coscienza Spirituale e giungere a un amore ancora più maturo e alto: quello che nel sommo rispetto sa lasciare a ciascuno, anche la persona più amata, il suo cammino. Tra il vecchio modello e il nuovo c’è proprio questa «gravità celeste», questa energia del richiamo profondo della nostra vera natura, che somiglia a quell’amore di bambini e ne ha la stessa leggerezza, infinità, purezza e forza. In molti mi hanno scritto, colpiti dalla notizia dei gemellini nati, dei quali uno è morto ed è stato riportato in vita dall’amore della madre. Mai come oggi, la soglia tra vita e morte è sottile. Sia ad andare, che a tornare. Ma restare vivi e vivere bene non è solo frutto di destino, karma, nascita e fortuna: è di fatto un grosso, ostinato, disciplinato e costante lavoro, che ciascuno può fare solo ed esclusivamente per se stesso. Con qualche aiuto. Con un bel po’ di coraggio. Con una guida, un compagno di viaggio, un maestro o semplicemente, con la persona che ha scelto per stargli accanto. Qualunque strada tu scelga oggi, il mio cuore è con Te. 

La Coscienza parla per Analogia



Ieri sono andato dal mio editore a prendere alcune copie del libro per me. Pochi istanti dopo l’arrivo, è entrata nel negozio una signora con un cagnolino e Nicola, l’amico che collabora alle edizioni, le ha detto indicandomi «Lei è qui per lui». Infatti, la signora era venuta a comprare una copia di “Tarocchi Karma Destino”, senza immaginare che io sarei stato lì. Abbiamo estratto un arcano, e le ho scritto una dedica. Nella sua emozione, nella mia, ho riconosciuto un incontro dell’anima. La coscienza parla per Analogia: il cagnolino si chiama Chico, come il cane storico di mio padre, che più volte è sparito ed è anche stato rapito, per poi tornare. Era un cane magico, la cui storia risale a quando io avevo pochi anni. E prima di Chico, la signora aveva avuto un cane di nome Carletto, lo stesso nome che io ho dato a uno dei due gatti di mia nonna, un gatto nero, con un solo occhio e pertanto anch’egli magico. Così comunica l’Analogia per noi: siamo tutti parte di una famiglia di anime, dentro famiglie più grandi. Le cosiddette co—incidenze, o sincronicità, non servono ad altro che a connettere a un livello più profondo i nostri destini, già mossi da forze invisibili che ci conducono all’Amore più alto. 



venerdì 9 maggio 2014

"Tarocchi Karma Destino" in libreria, sul sito e dall'autore

«Chi tocca questo libro tocca un uomo» aveva scritto Walt Whitman, a matita, sulla sua copia del libro di poesie che pubblicò per tutta la vita, Foglie d’erba. Ispirandomi a lui, nel sentire che siamo tutti come fili d’erba in un unico, infinito, eterno fluire di Coscienza, sulla mia copia di Tarocchi Karma Destino scriverei «Chi tocca questo libro tocca molte vite e molte persone, un unico destino di cui anche egli scoprirà di far parte.» Dunque, è un racconto di racconti, una descrizione di descrizioni, una storia che contiene ed è fatta da altre storie. Non credo debba essere un manuale di niente, nulla che ci leghi più di quanto un’amicizia istintiva unisce due viaggiatori improvvisati, che si conoscono e condividono un tratto di strada.
Con tutta la mia gratitudine, il mio rispetto, il mio amore, grazie di essere ora Tu, questo mio compagno di viaggio.


Puoi ordinare il libro al link di Spazio Interiore, su internet o prenderlo in libreria. Chi ne desidera una copia con una mia dedica meditata su un Arcano, può inviare la sua richiesta a questo indirizzo mail:

ordinilibro@hotmail.com

indicando la propria data di nascita e l’indirizzo, riceverà informazioni sulla spedizione; nel caso di un dono, può indicare anche la data di altre persone. La spedizione fino a quattro copie ha il costo di soli 2 euro. Chi ha già preso contatti con me per mail non è necessario che scriva nuovamente, è già nella mia lista.
La dedica meditata avviene tramite la sintonizzazione con il campo, ovvero quell’energia che Jung chiamava “inconscio collettivo” e che è l’energia onnipervasiva di cui parlava anche Einstein con il termine “campo unificato”. Gli Arcani forniscono per ciascuno un simbolo, che rappresenta, su mia esplicita richiesta e volontà, la direzione sulla quale la persona può contemplare per la propria crescita, guarigione ed evoluzione. Questo perché non abbiamo neanche un minuto del nostro tempo prezioso da perdere, per stare meglio, per essere più consapevoli, felici e abbondanti. Un abbraccio a tutti!
Gabriele

http://www.spaziointeriore.com/casa-editrice/catalogo/collana-nonordinari/30-casa-editrice/nonordinari/342-tarocchi-karma-destino